Storie del Trenino Giallo

Storie del Trenino Giallo

In questa pagina raccogliamo tutte le storie, foto, video e impressione che avete condiviso con noi. È il racconto del vostro trenino, che verrà integrato nel patrimonio di fondi fotografici e documentali che andremo a costituire.

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Le storie

Vincenzo de Francesco

Ero uscito dal liceo distrutto, reduce da una giornata tremenda (tre compiti in classe, un’interrogazione in latino e tre ore di filosofia). Come salgo sul trenino a S. Bibiana crollo in un sonno profondo che mi fa scordare di scendere a Centocelle perché come mi sveglio mi accorgo di stare in mezzo al nulla. A Pantano.

Marzia M

Il mio trenino, quello che “guai a chi me lo tocca”, che non mi fa rimpiangere di aver vissuto 33 anni vicina alla metro ma che, anzi, mi fa felice di essere diventata sua utente (pure quando mi scarica sulla massicciata per un guasto). Lui non sciopera quasi mai, soccombe solo agli automobilisti scalmanati di Porta Maggiore che, fissati con l’uso della macchina a tutti i costi, ogni tanto bloccano il traffico. Lui mi fa fare la sauna di estate e mi fa sparire le rughe con gli spifferi gelati in inverno, lui non deve morire, voglio che resti il mio taxi giallo per gli anni a venire…

Ogni mattina gli stessi occhi assonnati, lo stesso percorso che da casa li portava alla fermata Berardi, diretti verso il lavoro. Ogni giorno li accomunava il dubbio di un’attesa non segnalata da nessun indicatore luminoso, mentre entrambi speravano che quel trenino facesse tardi per poter restare a guardarsi in silenzio, come ormai accadeva da quasi un anno. Ma nonostante le dicerie, ogni 6 minuti quei vagoni, seppur vecchi, sferragliavano sui binari e quegli sguardi, ormai del tutto desti, erano già pronti ad affrontare una nuova giornata lavorativa.
Ma quel 14 febbraio, qualcosa andò diversamente, un inconveniente tecnico interruppe la linea e mentre tutti si infuriarono, finalmente Ahmed, un giovane ragazzo indiano da anni residente a Torpignattara e Lin, una ragazza italiana con gli occhi orientali, trovarono il coraggio di parlarsi. Si sorrisero e lui le disse che in fondo era contento di quel ritardo perché avrebbe avuto più tempo per poter ammirare il suo bellissimo sorriso.
Lin, dapprima intimidita, confessò che anche se quella giornata era piena di nubi, in realtà, lei sentiva il sole dentro di sé.
Fu così che quella mattina decisero di non aspettare più il trenino ed andarono ad esplorare insieme quel quartiere che li aveva sempre fatti sentire a casa ma che, in fondo, non conoscevano affatto.
Da quel giorno, ogni mattina, Ahmed e Lin si svegliano insieme e percorrono ancora la strada per andare alla fermata Berardi, accompagnano la loro bimba a scuola e sorridono all’unisono alla vita che li ha fatti incontrare ed innamorare. Perché, difronte a quei binari eternamente paralleli, hanno scoperto la felicità di un incontro che ha cambiato per sempre le loro vite.

Alessandra Gentile

Lo prendevo per andare a scuola e andare alla stazione termini quando avevo 11 anni

Rosalba Barberio

Un pezzo della nostra storia. Il viaggio di 3 ore sulla Roma-Fiuggi. Quanti viaggi dei nostri nonni, genitori per spostarsi per i motivi più diversi. Costruita tra il 1916 ed il 1917, era la linea ferroviaria a scartamento ridotto più bella del Lazio. La gestiva la mitica società Stefer che ha visto lavorarci tanti fiuggini. Da noi a Fiuggi fino a pochi anni fa era visibile anche l’armamento ferroviario al lato della Strada Statale 155: il cemento, l’asfalto e la pista ciclabile realizzata tra le stazioni di Serrone e la nostra città hanno ricoperto per sempre quel pezzo della nostra storia. Per le giovani generazioni è qualcosa da ricordare e di cui esserne fieri!!!!!!!

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Carmi Menzella

Sei appeso alla parete di casa, in cucina. Sei ritratto in movimento, all’altezza del Mandrione. Sullo sfondo gli archi dell’acquedotto Felice. Sei intrappolato in un’illustrazione. Eppure se ti guardo posso sentire il tuo inconfondibile sferragliare. 

Giulia Bucelli

Il trenino giallo me l’ha fatto scoprire mia madre: a cinquant’anni suonati lo prendeva per andare a lavorare come operatrice in un call center. All’epoca arrivava ancora a Pantano. Quando il trenino si fermava a Torpignattara, mia madre era felice: le piacevano i colori, le molte culture, la vita brulicante. Sono quasi 6 anni che lei non c’è più: è anche in onore suo che ho comprato casa nel quartiere: lei ne sarebbe stata felice.

Antonio Daluiso

I miei ricordi incominciano negli anni 60, quando il trenino era di colore blu e tettuccio in bianco e si chiamavA STEFER ed io, ospite dai miei zii romani, lo vedevo sfrecciare sulla Casilina all’altezza dell’incrocio tra Via dell’Acqua Bulicante e Via di Torpignattara, poi negli anni 76/77 quando militare a Roma nella caserma “XI Autogruppo di manovra Flaminia” lo prendevo in libera uscita per recarmi presso familiari che abitavano a Torpignattara. Ma il ricordo più bello è legato al mio primo amore Paola che abitava a Laghetto io la raggiungevo sempre a bordo del trenino STEFER blu con il tetto bianco. Quanta nostalgia.  

Paola Bommarito

Ciao Ecomuseo! ho visto il vostro post su Facebook, ho passato anni su quel trenino!
Ma la prima cosa che mi è venuta in mente è un’opera video realizzata dall’artista Valentina Vetturi, “La Pendolare” è il titolo, che parte da ed è girato proprio nel trenino della Casilina.

Qui si trova qualche informazione

Carlo Andrea Tortorelli

Il 12 giugno 2016 la “nostra” Ferrovia ha compiuto 100 anni: l’importante ricorrenza è stata festeggiata il giorno stesso con tre tour a bordo treno che hanno visto la partecipazione di oltre 150 cittadini.

IL RESOCONTO COMPLETO DELLA GIORNATA

Flavio Gamboni

Videoclip della mia band

Ottavia S.

Ogni mattina. Ogni sera.
Salgo sul trenino all’ultimo respiro, nel momento in cui le porte si chiudono.
È un rituale strano questo. Tutto nostro: mio e del trenino.
Che forse un po’ se lo aspetta. Che forse un po’ mi conosce.
Ogni sera. Ogni mattina.
Salgo su e mi accolgono sguardi stanchi, allegri, confusi.
Lavori, pensieri, sorrisi, vite, storie, sentimenti.
Un vita che scorre fuori ma dentro è ferma, sospesa, da contemplare.
Ogni mattina. Ogni sera.
Io mi siedo e lui parte.
Serio. Composto. Ordinato. Presente.
Senza questioni. Semplicemente
Il trenino c’è. Sempre. Ed è bello.
Ogni mattina. Ogni sera.

Silvia Mella

Quello sul trenino è stato il primo viaggio in treno per entrambi i miei bimbi. Ho ancora il ricordo dei loro occhi stupiti che guardavano il mondo in movimento dai finestrini. Per noi il giro in trenino per la lettura del giovedì in biblioteca è stato un appuntamento fisso per anni e ogni volta un viaggio del cuore, emozionante e avventuroso

Augusto T

Tanti anni fa, quando ero piccolo, il trenino per me era sempre una grande attrazione. 
Sarà perché mi scatenava il senso di avventura, di “viaggio”, insomma ogni volta che da Torpignattara  lo prendevo (mi ricordo vagamente anche i vecchi trenini marroni) mi divertivo un mondo. 
Per dire, da bambino insistetti così tanto per farmi portare a Grotte Celoni, una destinazione per me misteriosa e mitica, che alla fine uno zio mi ci accompagnò, salvo poi scoprire che il luogo era allora in aperta campagna, con un deserto quasi assoluto.
Ma forse l’aneddoto più divertente è legato a quando, in gruppo con gli amici, la mattina prendevamo insieme il trenino per andare a scuola in centro.
Uno dei miei amici, infatti, selezionava accuratamente il trenino da prendere, lasciandone passare diversi, senza salirvi.
Voi direte: sicuramente sceglieva un trenino vivibile, non troppo pieno.
Sbagliato!! il mio amico diceva infatti: “no, questo non lo prendo perché è TROPPO VUOTO!!!!”
Erano veramente altri tempi…

Francesco Bevilacqua

“Er trenino de Centocelle”

Me metto de bon’ora su sto treno,
la gente sta tranquilla al posto suo,
gnente se sente e sto pur’io tranquillo,
giusto lo stride de le rote vecchie,
su sti binari de na certa età.

Nun core e nun è prescioso,
se dondola sto treno lento, lento,
senza mai fatte avvertì ‘n lamento.

Te vole di’,
de vive più sereno,
sto monno che ce corre tutt’attorno,
lo voi capì che è lui er tuo veleno?

Attilio Di Sanza
Coro Multietnico di bambini Se..Sta Voce

Nel canto una voce narrante rappresenta la parte meno accogliente della città, mentre il coro e le voci soliste rappresentano la città accogliente e aperta.

Susanna Spafford

Trenino gialloTrenino casilinoDove sei?E dove sono finiti i tuoi 4 amiciChe sono passati nell’altra direzioneE non sono più tornati indietro?Sono spariti nella fossa della Marranella.Eccoti, infine! Traballante e tenero, con il tuo carico di umanità variabile.Sembra di essere a New York.

Rossella Mortellaro

Il trenino giallo in realtà io lo ricordo blu.Lo prendevo alla fermata di Torre Angela che adesso non esiste più. Il trenino si distingueva in due categorie: il tram, quello da corsa, giovane e snello; poi c’era il treno, invece, più serio, possente, anziano nel suo incedere pesante (giravano ancora gli stessi treni che nella loro giovinezza erano arrivati a Fiuggi, per le gite domenicali, con le poltrone di legno e gli scompartimenti).  Io preferivo il treno, sono sempre stata tradizionalista e ancorata ai ricordi, anche in giovane età. Da Torre Angela ammiravo, al finestrino, i paesaggi che verso Roma (non è che non mi sentissi di Roma, ma la città era lontana da noi e il trenino era il modo per arrivarci) cambiavano continuamente:  dopo il ponte del trenino (che adesso, anche quello, non c’è più. Vivo da tanti anni in un posto dove se devono buttare giù un palazzo brutto e insignificante, succede il finimondo. In periferia però si può far tutto, e il ponte che era la porta di ingresso a Torre Angela, non c’è più), iniziava la collina verde di Torrenova, quindi Giardinetti e Attiani mobili.  Si passava il GRA e ecco che iniziava la città con Torre Maura. Sono una botanica e la rupe di tufo che costeggia i binari prima dell’incrocio con via dei Colombi ha sempre attirato la mia attenzione: papaveri, margherite gialle tra fiori di tutti i colori. Poi una bella rincorsa e si arrivava a Villa Irma, ora Policlinico Casilino e quindi all’Alessandrino (dove c’era uno dei due supermercati frequentati da mia mamma, il GS). La Casilina ad un certo punto cambia corsia, si divide in due bracci. A destra verso il centro, passando i binari del tram (e all’angolo con via Palmiro Togliatti un giardino che ammiravo ogni volta che il tram si fermava. Una quercia a far da padrona, spoglia d’inverno e copiosamente verde dalla primavera). Arrivati a Centocelle, la meta era sempre più vicina. Da lì, dopo Greco Auto, iniziavano i quartieri “alti”, Tor Pignattara, con le case “belle”, da ammirare nei loro particolari. C’era l’idea del quartiere e non della borgata come ero abituata a Torre Angela. Dopo Tor Pignattara praticamente eri arrivato: per la scuola superiore scendevo a Ponte Casilino, per l’Università a Porta Maggiore o all’Arco di Santa Bibiana.  Se invece il viaggio doveva continuare, allora arrivavo fino alle Laziali dove il 70 era in grado di portarmi dappertutto, tipo teletrasporto.

Angelica Maoddi

Negli anni 70′ ho frequentato il liceo S.Francesco d ‘Assisi a Centocelle e per recarsi al centro e alle manifestazioni in tanti prendevamo il trenino da Piazza dei Mirti fino ai laziali. Era sempre pieno e così  stipati eravamo allegri ed orgogliosi di abitare a Centocelle rossa.

Stefania EMME

Quando sali sul trenino alle Laziali sei già al Pigneto, Tor Pignatta oppure Centocelle.Dentro quei vagoni c’è il modo che sfiori e incocci ogni giorni all’isola pedonale, alla Marranella, a via dei Castani.Su quelle sedie s’è seduta una vita che non si può immaginare ma che il trenino conserva.E quando guardi fuori dal finestrino sta vita t’appare e te se appiccica addosso.Diventa tua. Na seconda pelle. E non sei più sola.

Pietro Maiozzi (BOL)

I TRENINI BLU

Mia madre non ha mai auto la patente per guidare l’auto, ma questo non le impediva, nei primi anni ’70, di portare i suoi tre figli in giro per Roma. Le nostre esplorazioni partivano da Centocelle e percorrevano la Prenestina o la Casilina, sempre verso il centro, alla ricerca di mostre e musei capaci di stimolare la nostra crescita culturale. Papà invece faceva il ferroviere presso le FS e giocavamo coi trenini Lima, quando i suoi strani turni di lavoro lo permettevano, invadendo l’ingresso della nostra piccola casa con rotaie, carrozze, soldatini e macchinette. Il gioco ed il viaggio sui mezzi pubblici erano parte fondamentale della nostra educazione. Durante le gite io “stazionavo” fisso accanto al conducente del mezzo, da quella privilegiata posizione ero ipnotizzato dagli strani meccanismi di guida e dal paesaggio che scorreva di fronte a noi. Chiaramente i “trenini blu” della Casilina erano più affascinanti dei tram della Prenestina, un po’ perché li prendevamo poco abitando più verso il Collatino, un po’ perché assomigliavano di più a devi veri treni. 

A 25 anni la mia prima casa “da solo” (in realtà abitavo con due ragazze) era situata proprio di fronte al deposito principale dei trenini a Centocelle e la mia “carriera da writer” di graffiti era iniziata da circa 5 anni. Era entusiasmante per me e i miei complici notturni veder transitare le nostre opere pittoriche su materiale rotabile proprio sotto le mie finestre, seguirne le manovre, fare statistiche su quali giravano di più e fare piani per le prossime incursioni. Ho sempre pensato che contribuire visivamente al rinnovo grafico della livrea di un treno fosse un modo per sentirmi partecipe alla crescita culturale collettiva, per arricchire con la diversità un bene comune, per rendere forte un legame sociale coi miei sodali (la crew, il gruppo con cui dipingevo treni) o per confrontarmi con chi invade la città con immagini a pagamento che privatizzano non solo il nostro visuale urbano, ma incoraggiano la frammentazione sociale basata sulla proprietà privata. Certo del fatto che non tutti avrebbero apprezzato un’arte libera da vincoli espressivi e realizzata in maniera illegale, ho rischiato molto, ma sempre con consapevolezza del fatto di fare qualcosa anche per gli altri. 

Il deposito dei trenini era piccolo rispetto ad altre “yard” (stazioni, depositi di treni o luoghi di riparazione dove vengono tenute le carrozze la notte), ma l’odore era lo stesso. Un odore di ferro, derivante dal consumarsi del sistema frenante delle ruote, che si mescolava a quello di grasso e olio depositato sulle traversine in legno che sostenevano e tenevano paralleli i binari. A questo si aggiungeva l’odore acre del diluente dello smalto a spray delle bombolette che si insinuava per giorni nelle narici, nella gola ed  impregnava la pelle e i vestiti miei come quelli della divisa di mio padre ferroviere, riconducendomi a qualcosa di familiare. Le luci notturne del deposito di Centocelle creavano effetti in cui lo spray erogato appariva come un banco di nebbia che si muoveva col vento. Ogni singola variazione di luce, percepita ai lati del campo visivo impegnato nella pittura, poteva rappresentare un pericolo incombente ed ancora oggi, per questo, mi accorgo di aver sviluppato una grande attenzione a quello che succede intorno al punto focale, non solo visivo.

Al centro di questo punto c’è il trenino, ma cos’è un treno se non uno strumento adibito al trasporto? Beh è molto altro,  è soprattutto un ”non luogo” viaggiante, un ambiente fisico dove personalità diverse sono costrette ad incontrarsi, un posto dove, soprattutto le vecchiette, socializzano come non ci fosse un domani, dove i ragazzi che vanno a scuola schiamazzano felici di ritrovarsi a fare un viaggio insieme, dove la diversità si incontra coi suoi profumi e i suoi odori caratteristici, dove ci si scontra durante una brusca frenata. Raccontava mio padre che il trenino che lui prendeva dalla Marranella dove andava a farsi il bagno o dal Pigneto, dove abitava, veniva chiamato anche “l’ammazza cristiani” per via del fatto che, non avendo all’epoca sistemi di protezione lungo i binari che ne impedissero l’attraversamento, ogni tanto qualcuno finiva purtroppo sotto le sue ruote. Sui giornali ci andava così il trenino, per quei fattacci o per gli scontri coi tram a Porta Maggiore, nodo di scambio le cui mura delimitavano virtualmente la mia periferia dal centro cittadino. 

Pietro Maiozzi in arte BOL

Vivo al Pigneto, Roma

Materiali fotografici